In tema di green pass nei luoghi di lavoro

Premesso che non esiste una risposta univoca e dei riferimenti normativi inoppugnabili a sostegno del diritto da parte dei datori di lavoro di poter imporre l’esibizione del green pass nei propri luoghi di lavoro (se non quando il Governo riterrà di voler introdurre tale disposizione specifica per tutti o alcuni settori).
Occorre mettere in chiaro alcuni punti fermi che nel dibattito attuale sono emersi (volutamente o per non conoscenza):
1       va chiarito che il green pass, in ambito lavorativo, non va confuso con la vaccinazione,
  •         l’ipotesi di introdurre obbligatorio il green pass per poter accedere ad alcuni contesti (pubblici/privati, specie se al chiuso) – come ad oggi stabilito a partire dal 6 agosto – può avere negli ultimi tempi contribuito ad aumentare i dubbiosi, i restii e i contrari,
  •         va anche ricordato che il green pass previsto, è rilasciato non solo ai vaccinati, ma anche a chi ha ottenuto un risultato negativo al test molecolare/antigenico o chi è guarito dal Covid-19, pertanto, pur distinguendosi per la durata della validità del green pass (differenti i periodi per ciascuna delle casistiche su richiamate), il possesso di tale certificazione non è equiparabile a considerare un soggetto vaccinato. In questo senso, introducendo semmai l’obbligo di esibirla per poter accedere al luogo di lavoro, non si determinerebbe necessariamente l’obbligo per gli occupati di vaccinarsi,
  •         questo non andrebbe in conflitto con i lavoratori/trici “Fragili” cioè coloro che, per condizioni di personale salute, non potendosi sottoporre alla vaccinazione e non potendo/volendo convertire la propria mansione in lavoro agile, potrebbero evitare l’isolamento per mesi dai colleghi,
  •         va ricordato che, in ambito lavorativo, sono già previsti obblighi vaccinali per specifiche mansioni, seppur per ciascuno vi è un obbligo regolato da normativa, come richiesto espressamente dal precetto costituzionale. In tal senso, il legislatore ha introdotto alcuni mesi fa l’obbligo di vaccinazione Covid-19 per gli operatori del settore sanitario (allargato), individuando espressamente le ragioni di tutela per la protezione del singolo e della collettività. NB nel caso del settore sanitario, è stato specificato che l’obbligo di vaccinazione è legato all’esercizio della professione, oltre al suo svolgimento. In questo senso, l’interpretazione corretta sarebbe quella di considerare l’obbligo di vaccinazione anche per coloro che dovessero svolgere la mansione in modalità remota.
  •         l’idoneità alla mansione deve essere certificata solo dal medico competente, quindi, non può essere stabilita e gestita dal datore di lavoro e, comunque, per quelle mansioni soggette a sorveglianza sanitaria e, quindi, non per tutte le mansioni. 
Il sostegno al green pass in ambito lavorativo, viene spesso motivato con il richiamo all’obbligo del datore di lavoro (sancito dall’art.2087 cc), volto a garantire la tutela degli occupati durante lo svolgimento delle mansioni.
Ricordiamo, però, che:
  • il legislatore ha chiarito (L.40/2020) che il datore di lavoro se applica in modo puntuale quanto previsto dal Protocollo condiviso (del 14 marzo 2020, e con gli aggiornamenti che ne sono seguiti), può ritenersi sicuro, almeno come presunzione semplice – dovendo condividere tali interventi nell’ambito del Comitato aziendale, composto anche dalle rappresentanze sindacali – nella dimostrazione di aver garantito la tutela adeguata della salute e sicurezza sul lavoro ai lavoratori,
  • a tal riguardo, la recente sentenza del tribunale di Modena e in riferimento all’Art. 2087 del CC esplicita che deve essere, “perimetrato nell’ambito del settore sanitario”, trattandosi, nel caso specifico, di fisioterapisti di una RSA.
Il provvedimento della sospensione dall’attività lavorativa, senza retribuzione, in caso di rifiuto del lavoratore a sottoporsi a vaccinazione, anche per gli operatori del settore sanitario (allargato), non è stato previsto in modo esclusivo e diretto, ma è stato introdotto come extrema ratio dopo l’obbligo per il datore di lavoro di individuare soluzioni alternative che possano conciliare la prosecuzione dell’attività lavorativa con la mancata vaccinazione e il contrasto alla diffusione del virus, prevedendo forme di prevenzione e protezione di natura diversa, quali soluzioni ragionevoli che possano derivare da interventi sull’organizzazione del lavoro  (modifica ad es. della mansione o luogo di svolgimento) o sui DPI/DPC.

 

Medesima soluzione già prevista per i lavoratori esposti al rischio biologico, durante lo svolgimento della mansione, per i quali la normativa dal 2008 sancisce, come misura (tra le altre) da adottare, quella della vaccinazione, non precludendo altre forme di tutela.

 

Significativa e discriminante la scelta che stanno adottando, in questi giorni, alcuni imprenditori (di realtà lavorative top level) che consentono ai lavoratori che non intendono vaccinarsi di restare a casa, ricevendo comunque la retribuzione.
Oltre a rappresentare una forma indiretta di favore verso questi occupati e verso la loro scelta, (non ci riferiamo ai lavoratori “Fragili”) evidente è il disallineamento di trattamento tra chi assolve ad un “dovere civico” di vaccinarsi, proseguendo la sua attività lavorativa e ricevendo per questa la retribuzione dovuta, e chi, non intendendo contribuire ad un’immunità di gregge, non solo non svolge il lavoro, ma viene comunque compensato dallo stipendio.

 

Occorre, infine, ricordare che nel rispetto di quanto precisato dal garante della privacy (nel rispetto della normativa vigente), il datore di lavoro non può indagare sulle scelte operate dai propri occupati, compreso anche la decisione di vaccinarsi, o meno.
Inoltre nel caso di introduzione dell’obbligo di esibire il green pass, il datore di lavoro non potrà richiedere al lavoratore le ragioni che hanno determinato il ricevere di tale certificazione.
( Cit. Dipartimento salute e sicurezza CISL nazionale)

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